Cambia vita

È LA STORIA DI FORNO BIANCUCCIA A CATANIA E DELLA CREATRICE VALERIA MESSINA CHE DOPO ESSERE RIENTRATA NELLA SUA CATANIA PER AMORE DECIDE DI LASCIARE IL MESTIERE DI AVVOCATO PER METTERSI A FARE IL PANE

Perché hai messo l’aceto nel pane?”. Potremmo cominciare da qui per raccontarvi questa storia. Oppure con la ricerca vana di un panificio, tra Catania e Messina, che la ospitasse nel laboratorio per un periodo di stage, “alla fine non ho trovato nessuno che prendesse sul serio una matta quarantenne avvocato che voleva imparare a fare il pane”. Vi presentiamo Valeria Messina ché tanto ha da dire e da insegnare: “Mamma, tu mi hai insegnato che si può fare tutto”.

Ecco iniziamola da qui la storia di Forno Biancuccia.Una laurea alla Sapienza di Roma e un lavoro a Perugia come avvocata in diritto di famiglia, un rientro nella sua città, Catania, per amore e un posto fisso come responsabile di un ufficio legale. Due figlie, un talento in cucina che non ne voleva sapere di espandersi nella sfera della panificazione, eppure Valeria ama con tutta se stessa fare il pane a casa “nel silenzio più totale della sera inoltrata”. I primi pani sono discutibili – da qui la domanda sull’aceto fatta da una delle due figlie – sotto fermentati, oltre fermentati troppo cotti o ancora crudi. “In cucina son sempre stata brava ma il pane non mi veniva proprio, così mi sono intestardita, ho iniziato a studiare e a frequentare una miriade di corsi. E ho cominciato a fare il pane sempre meglio, utilizzando pasta madre e farine da grani autoctoni macinati a pietra che reperivo nei mercatini di zona. All’inizio lo distribuivo a parenti e amici, poi persone che non conoscevo e che magari avevano assaggiato il mio pane a una cena hanno iniziato a chiedermi di fare il pane per loro”. Valeria si ingegna, si appoggia nel laboratorio di un pasticcere in pensione e arriva a produrre 50 chili di pane alla volta.

È scattato il pensiero che quel tipo di pane, che potremmo definire agricolo, non lo cercavo solo io in città e che evidentemente mancava. Da qui l’idea che potesse diventare un business”. Valeria prende un anno di aspettativa dal lavoro, continua a frequentare corsi, cerca dei laboratori dove poter apprendere il mestiere e gira tutta Italia per comprendere meglio e capire chi potesse farla entrare in un laboratorio: “A un corso organizzato dal Molino Merano, con il maestro Ezio Marinato, ho conosciuto un paio di ragazzi che mi hanno aperto le loro porte”, uno di questi è Nino Sciglitano della Bottega del Pane a Senago. “Sono andata a lavorare da lui anche per capire che tipo di macchine avrei dovuto prendere per iniziare a fare il pane in maniera professionale”. Da lui apprende tante cose, una su tutte: “Non volevo lavorare di notte”. Che tradotto in macchinario significa dover dotarsi di una cella fermalievitazione.

Con le idee chiare Valeria torna a Catania e a marzo 2018 apre Forno Biancuccia. “La città ci ha immediatamente voluto bene, accogliendoci con grandissimo affetto. Le persone entravano perché incuriosite dalla mia storia – in tanti le confidano di volere il suo coraggio per cambiare vita – o attratte dal profumo del pane, l’olfatto è il senso con maggiore memoria e in molti mi dicevano che il nostro pane profumava come quello che faceva la loro nonna”. Complici le farine da grani autoctoni – che poi vi raccontiamo perché è una storia nella storia – e l’artigianalità dei processi. Qui, in produzione, si lavora dall’alba alle 13. “Arriviamo alle 6 con il forno già puntato a temperatura e inforniamo il pane lavorato il giorno prima, nel mentre impastiamo quello che andrà infornato l’indomani.

La squadra di Biancuccia

Oggi con Valeria ci lavorano sei persone: “Il responsabile di produzione Dario (che viene dal mondo della cucina), Gabriele, ex bancario folgorato dai lieviti, e poi al banco Simona, amica fin dai tempi di scuola che ha seguito la mia follia dall’inizio, Valeria, Adelaide e Grazia, sempre disponibili; i clienti vengono anche per i loro contagiosi sorrisi”. Un tratto del cammino Biancuccia l’ha percorso pure Diallo, un ragazzo del Senegal conosciuto tramite un pastore valdese che è stato con loro dagli esordi fino a giugno di quest’anno, quando si è trasferito a Parigi per ricongiungersi con una parte della sua famiglia. “Senza di loro sarebbero rimaste solo delle bellissime idee”, sottolinea Valeria, così come ci parla dei suoi “padri e madri ispiratori”, da Longoni ai ragazzi di Brisa, da Francesca di Pandefrà a Roberto Notarnicola di Mamm Pane, Vino e Cucina a Udine. “C’è moltissima trasparenza tra di noi, arricchita da una grande solidarietà e voglia di condividere – la condivisione è la linfa vitale dei i Panificatori Agricoli urbani ognuno condivide i propri valori, non solo in relazione al prodotto ma anche in relazione a una specifica maniera di scegliere il cibo che condiziona il benessere personale e ambientale”.

Un atto politico che Valeria mette in pratica panificando farine da grani autoctoni, come Russello, Perciasacchi, Timilia o una segale iermana coltivata in pochi ettari sull’Etna. O ancora come il grano Biancuccia che caso (o destino) vuole essere una delle varietà di grani siciliani custodite nella Stazione Sperimentale di Granicoltura di Caltagirone dove nonna Biancuccia, la nonna del marito di Valeria, Bianca Buonoconto, ne è stata la direttrice per alcuni anni. “Forno Biancuccia è un omaggio a nonna Bianca, donna e studiosa che, tra gli anni 60 e 70, insieme al marito, il noto agronomo Felice Casale, ha contribuito a mantenere la biodiversità nell’Isola”. Oggi da Forno Biancuccia il consiglio è di provare il pane Casale fatto con la varietà Capeiti 8, costituita proprio da Felice Casale e nata da un incrocio tra Senatore Cappelli e l’Eiti 6. Che bella storia.